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    Le missioni di Pace dell'Esercito
    23/11/2009

     

    La conferenza del socio Di Niso per l'anniversario del Club

    Nella serata del 23 novembre 2009. in occasione dell’anniversario della fondazione del nostro Club il relatore della serata, il socio Tommaso Di Niso, in sintesi ha detto che l’Esercito ha partecipato e continua a partecipare a numerose missioni di sicurezza in campo internazionale dal Mozambico alla Somalia e all’Albania , dal Kurdistan a Timo Est, dai Balcani all’Iraq e all’Afganistan, dal Sudan al Pakistan fino al recente impegno in Ciad.
    Un impegno intenso, quello fuori dai confini nazionali, avviato già nel 1982 con la prima missione in Libano. Questo ruolo attivo sullo scenario internazionale, è stato riconosciuto anche con l’assegnazione negli ultimi quattro anni della leadership delle missioni in Bosnia, in Kosovo , in Afghanistan e attualmente della missione Unifil2 in Libano.
    Missioni articolate e complesse, condotte con assetti e modalità differenti ma senpre coerenti con l’intendimento di proseguire la Pace e la Sicurezza. Il compito è di contribuire alla gestione delle crisi internazionali, mediante la partecipazione ad operazioni di prevenzione, controllo e stabilizzazione al fine di garantire la pace, la sicurezza e la legalità internazionale e il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.
    Non ha parlato dell’aspetto operativo, in quanto siamo informati ampiamente dai media, ma di un’attività poco conosciuta che a Suo parere rispecchia lo spirito e lo scopo della nostra associazione. La scelta dell’argomento è stato involontariamente suggerito dall’amico Umberto Greco che aveva appreso, da un colloquio con Ufficiale, che i militari non fanno solo i guerriglieri ma svolgono altre attività.
    Di Niso ha spiegato il Cimic cioè la cooperazione civile militare. La CIMIC è un’ attività organizzata in collaborazione con le autorità civili e le ONG volte a ridurre le armi in circolazione, programmare manifestazioni sportive, fornire assistenza medica favorendo anche il ricovero presso strutture mediche nazionali dei civili particolarmente bisognosi, fornire aiuti materiali ed economici ed organizzare la ricostruzione.
    Tale attività è sicuramente tra quelle di più immediato e favorevole riscontro in quanto la popolazione può facilmente ed in maniera tangibile constatare gli sforzi dell’Italia ed usufruirne direttamente.
    Abbiamo visto: alcune delle case danneggiate durante la guerra. In questo caso l’intervento di ristrutturazione favorirà il ritorno della famiglia che ci viveva. La ricostruzione viene effettuata rispettando gli standard indicati dall’International Management Group. Questi standard tengono conto esclusivamente del numero dei componenti del nucleo familiare.
    La ristrutturazione dell’unica scuola esistente all’estrema periferia del paese ed è molto importante per bambini che non possono raggiungere la sede principale.
    La ristrutturazione di questa scuola è stata importante anche per il ritorno dei rifugiati. Questo lavoro è costato circa 40000 euro per un tempo di attuazione di 2 mesi.
    Le caldaie sostituite per un costo di circa 10000 euro.
    La situazione viaria secondaria, le nostre provinciali per intenderci e molte sono da ripristinare per permettere il collegamento di numerosi paesi. Il costo è notevolmente variabile a seconda di numerosi parametri.
    Ha previsto la realizzazione di un nuovo impianto di riscaldamento per migliorare le condizioni di vita degli alunni e degli insegnanti. L’impianto è costato circa 9500 euro per un tempo di attuazione di circa 1 mese.
    Un asilo nido completamente ristrutturato, la costruzione di un ponte in Rogatica.
    L’Esercito provvede alla distribuzione di aiuti umanitari, viveri , vestiti, materiale scolastico e giocattoli. L’esercito provvede al trasferimento, trasporto con i propri aerei, di bambini bisognosi di cure presso gli Ospedali italiani.
    L’attività Cimic è svolta anche dall’arma dei Carabinieri. Queste attività non sono svolte solo nei teatri operativi a basso rischio ma anche in Afghanistan. Infatti il Comandante del 183 Reggimento Paracadutisti di Pistoia al rientro da Herat ha ringraziato l’associazione MOICA per le generose donazioni di medicinali, che i paracadutisti hanno distribuito nel corso delle visite che le pattuglie hanno svolto nelle aree piu’ impervie. Il Comandante si è fatto portavoce della gratitudine espressa sia dalle autorità locali che dalla popolazione.
    La cittĂ  di Pistoia ha dato tanto anche in partenza: ha donato medicinali, viveri defibrillatori con cui hanno attrezzato gli ospedali e poi banchi per le scuole e materiale per i bambini. Nei paesi meno a rischi vengono effettuate delle visite da parte di imprenditori, scolaresche di ogni grado ai cui viene spiegato le varie attivitĂ  svolte dai reparti dislocati sul posto.
    Tutti dobbiamo sentirci orgogliosi di quello che siamo riusciti a fare.
    Ci sono occasioni diverse dai campionati mondiali di calcio per sentirsi orgogliosi di essere italiani. Basta allargare gli orizzonti per scoprire che abbiamo veramente motivo di essere fieri di noi stessi.
    Un’ennesima occasione a Di Niso l’ha offerta questa l’ ultima esperienza kosovara. Non si riferisce ai motivi, né alla veste per cui è andato, e nemmeno ai meriti professionali dei nostri soldati (quelli sono sotto gli occhi di tutti e ne danno ampio riscontro le cronache quotidiane). Infatti, non è della professionalità dei nostri militari che ha parlato, quanto del loro modo di essere “uomini” e “donne” al servizio della solidarietà.. Ha raccontato, mentre scorrevano delle immagini realmente vissuti, semplicemente due eventi, a cui ha avuto la fortuna di partecipare.
    Nel mese di gennaio c’è stata la festa dei giovani presso l’Istituto “Don Bosco” di Pristina. L’Istituto, sorto per la tenace volontà di due preti italiani, ha come finalità l’avviamento professionale dei giovani Kosovari che hanno desiderio di costruire il proprio futuro con sacrificio e passione. Diverse organizzazioni internazionali hanno contribuito a realizzare l’opera. Il mantenimento dell’Istituto, invece, è assicurato in parte da una piccola retta pagata dagli studenti (Circa 20€ al mese) e in parte dalle offerte dei benefattori.
    Il Centro “Don Bosco” retto dai Salesiani, è aperto a tutti i giovani di qualunque religione (gli studenti cattolici sono una sparuta minoranza, meno dell’1%). Lo stesso vale per gli insegnanti e per gli assistenti di laboratorio, tutti scelti per la loro competenza e non per la loro fede religiosa. Quest’Opera è imponente riguardo all’obiettivo che si prefigge: creare un’opportunità concreta per i giovani, che, come tutti i giovani, rappresentano il futuro del loro Paese. Un’opportunità non costituita da aiuti che assomigliano ad un’elemosina e feriscono nell’orgoglio chi li riceve, ma fatta di trasferimento di competenze affinché il lavoro diventi strumento dignitoso per vivere e concreto fattore di uguaglianza. Insomma, un investimento sull’uomo ad altissimo rendimento, con l’obiettivo dichiarato di allineare le basi di partenza di questa gente, trovatasi indietro rispetto a noi non per incapacità propria ma per un complesso di circostanze sfavorevoli, nella determinazione delle quali la gente umile non avuto ruoli e responsabilità. Nel corso di questa visita, i nostri soldati (chiamiamoli con il loro nome) hanno saputo fondersi con i giovani del posto e, se non fosse stato per l’uniforme, non sarebbe stato possibile distingue gli uni dagli altri. Si è trattato di una vicinanza silenziosa, impreziosita da piccoli gesti molto significativi che possono pure sfuggire all’osservatore distratto o superficiale. Come la delicatezza di fare qualcosa per l’altro mantenendo un atteggiamento di gratitudine, tipico di chi sta ricevendo qualcosa.
    I viveri offerti, sovrabbondanti per l’occasione, sono stati portati come contributo per la festa di cui dovevamo godere insieme, come quando si è ospiti a cena e si regala una bottiglia di vino al padrone di casa. Salvo, poi, contenersi nel consumarli affinché la parte maggiore fosse per i kosovari: nessuno dei nostri ha nemmeno assaggiato quello che era stato preparato con la cucina da campo, prima che tutti i padroni di casa non avessero mangiato a sazietà. In sintesi, un’offerta di se stessi, che nulla ha a che vedere con le offerte che a volte si fanno col solo scopo di acquietare la coscienza.
    Il secondo evento si svolto il giorno primo febbraio: 25 bambini dell’orfanotrofio di Klina (una località a circa 20 Km a sud-est di Pec) sono stati ospiti della nostra “Casa Italia” (così si chiama una struttura ricreativa destinata al personale italiano che lavora a Pristina). Bambini dai cinque ai dodici anni riuniti in una casa famiglia sostenuta dalla Caritas Umbra. Fanciulli che generalmente hanno un solo genitore: figli di ragazze madri o che hanno avuto il padre disperso a causa della guerra (per il perfido meccanismo della stupida burocrazia locale, la mancanza di uno dei genitori non permette l’affidamento in adozione di questi bambini: c’è bisogno dell’assenso congiunto del padre e della madre, quando non è certificata la morte di uno dei due!
    Così, nonostante la possibilità di adozione da parte di chi, da ogni dove, ne fa richiesta, questi poveri bambini sono costretti a vivere in condizioni di disagio estremo). L’istituto che li ospita riesce a malapena a provvederli dell’indispensabile e a curarne l’istruzione elementare (ci sono bambini di 10, 12 anni che non sanno ancora leggere e scrivere). Mentre i bambini più piccoli appaiono sereni e spensierati e mostrano di saper vivere appieno la loro età e trarre gioia dalle piccole cose, i volti dei più grandi, già velati di tristezza, mostrano i segni di una precoce maturità e tradiscono l’angoscia della percezione di uno stato di precarietà.
    La Casa Famiglia animata da sei ragazzi di Perugia che, approdati da queste parti per un periodo di volontariato subito dopo la guerra, non hanno saputo più staccarsi da questi bambini e si sono stabiliti qui, per fare qualcosa di concreto per loro, mentre ne condividono la condizione. Con la sola retribuzione di un piatto di pasta quando ce n’è abbastanza per tutti. Sei giovani italiani: derisi dai loro coetanei quando sono partiti; ora invidiati, dai loro denigratori di un tempo, quando tornano a casa per la serenità che hanno stampata in volto.
    Anche in questa occasione i nostri soldati hanno cucinato per i piccoli ospiti: un piatto di pasta al sugo, un petto di pollo alla milanese, patatine fritte, una fetta di panettone. Il tutto condito con genuino slancio di generosità e servito ai tavoli da camerieri d’eccezione: Ufficiali, Sottufficiali e Soldati dell’Esercito Italiano. I piccoli ospiti li abbiamo visti soddisfatti e felici perché si sentivano circondati da calore umano e per un giorno sono vissuti al centro di un’attenzione ulteriore, che si sommava a quella dei loro istitutori abituali.
    Una bambina di un paio d’anni è stata in braccio al nostro Ufficiale medico per tutto il tempo, incuriosita dall’uniforme e dai distintivi sopra attaccati. Dopo pranzo un nostro Caporal Maggiore li ha divertiti con dei giochi di prestigio.
    Alla fine, i volti più meravigliati erano i nostri: ci aspettavamo di ospitare dei bambini poveri, ci siamo ritrovati degli ospiti ricchi! E di una ricchezza veramente invidiabile: la capacità di gioire delle piccole cose, di cogliere il piacere di una vicinanza, di apprezzare senza diffidenza l’affetto proveniente da sconosciuti.
    La loro partenza è stata triste. Probabilmente per alcuni di noi questa ventata di familiarità è stata un surrogato dei nostri affetti lontani. Partito l’autobus verso Klina, ognuno è tornato alle proprie occupazioni. Apparentemente con lo stesso stato d’animo del giorno prima. Pensavo che solo in me, probabilmente per una mia particolare vulnerabilità dovuta al momento di difficoltà per la lontananza da casa, la cosa avesse lasciato un segno. Poi ho scorto un mio soldato che piangeva in un angolo appartato della caserma ed ho capito di sbagliarmi.
    A volte ci contestano di non essere un grande popolo. Ho imparato che questa è una vera fortuna per tutti gli altri: se riuscissimo a sommare e mettere in sistema le nostre individuali grandezze, chi ci potrebbe tenere testa?! Di Niso ha mostrato e letto un biglietto scritto da uno studente liceale, dopo aver partecipato a un’attività umanitaria con i nostri soldati in Bosnia, che diceva: “ognuno può dare il proprio contributo per migliorare il mondo, ognuno ha delle idee originali rappresenta un enorme risorsa per l’umanità, allora ricordiamoci di ascoltare ogni persona e cerchiamo di rendere il nostro lavoro, il proprio sforzo non inutile, apprezzabile e continuatile da ogni altra persona. Buona fortuna. “
    Nel nostro anniversario potrebbe essere anche un’incitamento a noi rotariani a proseguire i nostri obiettivi a favore del prossimo



     
     


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